La querela e la distorsione della concorrenza: due profili di rilievo della corruzione tra privati

di Maurizio Arena

La legge n. 190/2012, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", dispone, a decorrere dal 28 novembre 2012, l'integrale sostituzione dell'art. 2635 c.c. (Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità) con la seguente disposizione:

art. 2635 c.c. (Corruzione tra privati)
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.
2. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.
3. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.
4. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.
5. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.


Ai sensi del comma 5, pertanto, il reato è procedibile a querela di parte [1], a meno che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nell'acquisizione di beni o servizi, nel qual caso sarà possibile procedere d'ufficio.
Nell'ipotesi in cui il reato sia stato commesso da un amministratore, il diritto di querela spetta all'assemblea; se invece il reato è commesso dagli altri soggetti, il diritto di querela compete al legale rappresentante o all'organo di amministrazione.

Il principio di indivisibilità della querela
Ai sensi dell'art. 123 c.p. la querela sporta nei confronti di un solo soggetto si estende di diritto anche agli altri concorrenti nel reato.
Il delitto di corruzione tra privati è qualificabile come reato a concorso necessario (o plurisoggettivo) – secondo lo schema tipico dei classici delitti di corruzione - ed è pertanto interessato dalla disposizione menzionata.
Di conseguenza nessuna improcedibilità deriva dal fatto che la persona offesa (id est: la società danneggiata dall'accordo corruttivo) abbia sporto querela soltanto contro uno degli autori del reato (il soggetto qualificato corrotto), escludendone gli altri, poiché la querela dispiega ope legis i propri effetti nei confronti del concorrente nel reato (il corruttore), anche senza [2] la volontà del querelante.
La querela è condizione di punibilità del fatto-reato e non di uno o di taluno soltanto degli autori; con essa si rimuove soltanto l'ostacolo della perseguibilità di taluni reati, restando al pubblico ministero il potere di accertamento e di persecuzione dei rei, sicché la querela tempestivamente proposta, conserva valore nei riguardi di coloro che, non indicati inizialmente, risultino poi autori o compartecipi del reato [3].
Nel caso in cui il querelante manifesti contestualmente la volontà di perseguire alcuni colpevoli e non altri, l'intento punitivo ha prevalenza, in quanto esso, in base all'art. 123 c.p., permane e si espande, mentre la rinuncia risulta inoperante, in quanto implicitamente sottoposta alla condizione che vengano perseguiti gli altri responsabili e, dunque, priva di efficacia, secondo quanto disposto dall'art. 339 comma 2 c.p.p.[4]
Il principio dell'"indivisibilità" della querela trova il limite nel fatto-reato in essa considerato ed opera, quindi, unicamente rispetto ai soggetti che quel fatto hanno commesso, anche se la loro individuazione avvenga in un momento successivo alla proposizione della querela, senza che occorra una nuova proposizione della stessa: condizione essenziale è, peraltro, che si tratti di concorso nello stesso reato.
Infine, la disposizione dell'art. 123 non può essere intesa nel senso che soltanto se viene accertata la colpevolezza del concorrente in seguito al giudizio deve ritenersi che esattamente la querela sia stata estesa anche a lui, ma nel senso che l'estensione si verifica nei confronti di tutti quelli cui viene attribuita dall'organo istruttorio la commissione del reato [5].

Un esempio di procedibilità "derivata" nei confronti del corruttore e della sua società ai sensi del d.lg. 231/2001
Si faccia il caso di una società offesa e danneggiata ai sensi dell'art 2635 c.c. e si ipotizzi che la stessa proponga querela esclusivamente nei confronti del suo amministratore corrotto ("dimenticando" di manifestare la volontà di punizione nei confronti di eventuali concorrenti).
Ebbene, una simile querela consentirà comunque al PM di procedere anche nei confronti del soggetto corruttore (appartenente ad altra società).
Se poi quest'ultimo, in ipotesi, avesse agito nell'interesse della sua società, lo stesso PM potrebbe procedere anche nei confronti di quest'ultima ai sensi del d.lg. 231.
In altri termini non sussisterebbe alcuna improcedibilità ai sensi dell'art 37 [6] del d.lg. 231.

La nozione di distorsione della concorrenza
L'ultimo comma dell'art 2635 c.c. configura quindi l'ipotesi in cui la corruzione tra privati, oltre a cagionare un nocumento alla società, vada a ledere il "corretto gioco della concorrenza commerciale".
La strada italiana alla corruzione tra privati non contempla, quindi, il danno alla concorrenza come bene tutelato in via principale, ma come eventuale evento aggravatore, che può mutare il regime della procedibilità.
Si badi bene: la distorsione alla concorrenza deve derivare dal "fatto di reato", vale a dire dalla condotta corruttiva da cui sia derivato causalmente il nocumento alla società, non dalla sola condotta corruttiva.
La decisione-quadro 2003/568/GAI faceva riferimento alle "condotte che comportano o potrebbero comportare distorsioni di concorrenza riguardo all'acquisizione di beni o servizi commerciali".
L'art 2635 c.c. non prevede invece il pericolo astratto, ma solo l'effettiva lesione della concorrenza.
Incisivamente è stato rilevato che "sarebbe assai arduo, se non impossibile, dimostrare che un singolo fatto di corruzione privata abbia addirittura inciso negativamente sulla concorrenzialità di un intero settore di mercato. Un simile risultato offensivo può derivare solo da un insieme di condotte seriali e pervasive" [7].
Altra questione di rilievo: quale estensione deve avere la menzionata distorsione della concorrenza?
È chiaro che la norma potrebbe avere una sua apprezzabile sfera di operatività solo ove non si facesse riferimento alla concorrenza all'interno di un singolo mercato, ma a quella nell'ambito di una specifica operazione economica.
In ogni caso la potenzialità lesiva dell'atto corruttivo potrebbe essere esclusa, ad esempio [8], nel caso in cui il corruttore fosse l'unico fornitore sul mercato oppure allorchè l'offerta del corruttore risulti già ex ante la migliore in termini competitivi.


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[1] È opinione comune che la procedibilità a querela renderà la fattispecie di applicazione sporadica, in relazione al reato dell'amministratore: spesso sarà difficile formare in assemblea una maggioranza intenzionata a sporgerla.
[2] E, addirittura, eventualmente contro.
[3] Cass., sez. III, 97/209570.
[4] Cass., sez. V, 99/215032.
[5] Cass., sez. I, 74/129884.
[6] Ai sensi del quale "Non si procede all'accertamento dell'illecito amministrativo dell'ente quando l'azione penale non può essere iniziata o proseguita nei confronti dell'autore del reato per la mancanza di una condizione di procedibilità".
[7] Mongillo, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, ESI, 2012, 200.
[8] Mongillo, op. cit., 201.

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