Il falso in prospetto come reato presupposto ex d.lgs. 231/01

di Stefano Lorenzo Antiga*

Il recente ampliamento (1) delle fattispecie di reato che fanno da presupposto della responsabilità ex crimine delle persone morali – disciplinata dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (d'ora in poi: Decreto) – mi impone di svolgere qualche riflessione proprio sul tema dei c.d. reati presupposto, limitando però la disamina compiuta in questa sede al tema della configurabilità del reato di falso in prospetto (richiamato dall'art. 25 ter Decreto) nel novero di questi illeciti.

Perché concentrare l'attenzione proprio sull'illecito ex art. 25 ter (lettere d ed e) Decreto?
Come noto, il delitto di falso in prospetto – ab origine – era contemplato dall'art. 2623 Cod. civ. (2) nei seguenti termini: "Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti ai fini della sollecitazione all'investimento o dell'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo ad indurre in errore i suddetti destinatari è punito, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l'arresto fino ad un anno.
Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari del prospetto, la pena è della reclusione da uno a tre anni".

Non essendo questa la sede per svolgere ulteriori approfondimenti sulla fattispecie de qua (3), possiamo limitarci a ricordare come l'art. 2623 cit., bipartiva l'illecito di falso in prospetto in contravvenzione (1° comma) e delitto (2° comma), a seconda che la condotta descritta dal 1° comma avesse o meno "cagionato un danno patrimoniale ai destinatari del prospetto".

Nel 2005, in coincidenza con l'emanazione della c.d. "legge risparmio" (l. 262/2005), nel Testo Unico Finanza (d.lgs. 58/1998) è stato introdotto l'art. 173 bis, intitolato "Falso in prospetto" (in vigore dal 12 gennaio 2006).
La nuova fattispecie risulta così formulata: "Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per la sollecitazione all'investimento o l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
L'articolo 2623 del codice civile è abrogato".

Il mutamento più significativo tra vecchia e nuova incriminazione – al di là dell'aumento di pena previsto nell'art. 173 bis TUF – appare l'abbandono (nel novum legislativo) della distinzione tra contravvenzione e delitto. Inoltre, non si richiede più la consapevolezza della falsità da parte dell'agente (requisito che la stessa dottrina ha definito "ultroneo") (4).
L'avvicendamento tra l'art. 2623 Cod. civ. e l'art. 173 bis TUF, sembra dover essere inquadrato nello schema della successione di leggi penali, con conseguente applicabilità dell'art. 2, co. 4, Cod. pen. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (5), per dirimere la quaestio se ci si trova dinanzi a mera successione di norme penali ovvero al fenomeno dell'abolitio criminis (per il quale si applica il disposto dell'art. 2, co. 2, Cod. pen.), occorre far riferimento al criterio della continuità strutturale del tipo di illecito (6).

Le due fattispecie richiamate, a parere di chi scrive, appaiono strutturalmente identiche (identica è la condotta incriminata ed identico è il bene giuridico tutelato), con le sole differenze – già segnalate – dell'abbandono nell'art. 173 bis della dicotomia contravvenzione/delitto e della previsione circa l'aumento di pena (reclusione da uno a cinque anni).

Orbene, l'art. 25 ter Decreto – alle lettere d) ed e) – prevede la responsabilità dell'ente per il reato di falso in prospetto, continuando però a richiamare la contravvenzione dell'art. 2623, co. 1 (art. 25 ter, lett. d) ed il delitto ex art. 2623, co. 2 (art. 25 ter, lett. e).
Come la dottrina ha subito evidenziato "il difetto di coordinamento non è affatto irrilevante, tanto che non è peregrino chiedersi se, dopo la menzionata modifica del falso in prospetto, residua la possibilità di imputare questo delitto ad una persona giuridica" (7).
Un orientamento che appare dominante in dottrina, è quello per cui la responsabilità dell'ente collettivo in relazione all'illecito de quo, sarebbe venuta meno per effetto delle modifiche all'impianto sanzionatorio del TUF apportate dalla legge risparmio (8). Secondo questa tesi, l'art. 25 ter opererebbe un rinvio non soltanto formale al reato di falso in prospetto così come concepito – inizialmente – nell'art. 2623 Cod. civ., bensì un rinvio recettizio concernente anche le successive modifiche della disciplina sanzionatoria dell'illecito in questione.

Secondo chi scrive, al contrario, la problematica va impostata in altro modo. Si è già sopra ricordato come l'evoluzione della normativa sul falso in prospetto, abbia dato luogo al fenomeno della successione di leggi penali; di conseguenza, dovrebbe – nisi fallor – applicarsi il disposto dell'art. 3, co. 2, Decreto (anziché quello di cui al comma 1° dello stesso articolo), ove si dispone: "Se la legge del tempo in cui è stato commesso l'illecito e le successive sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile". La norma in questione riproduce in pratica il testo dell'art. 2, co. 4, Cod. pen., applicabile in presenza (per l'appunto) del fenomeno della successione di leggi penali.

In altre parole, a mio avviso non è sostenibile che l'illecito di falso in prospetto (ora profuso nell'art. 173 bis TUF) non configuri più la responsabilità amministrativa dell'ente, dovendosi intendere il richiamo di cui alle lettere d) ed e) del Decreto, alla stregua di un richiamo mobile.
Invero, il falso in prospetto non è stato oggetto di abolitio criminis, bensì – al contrario – di una semplice modifica (in peius) del trattamento sanzionatorio. Ed il "cambio di sede" della fattispecie de qua dal Codice civile al TUF, non pare essere un elemento sufficiente per addivenire alla conclusione che l'illecito di falso in prospetto non configura più un reato presupposto della responsabilità dell'ente.
A sostegno di questa tesi, è possibile anche richiamare un precedente illustre: prima dell'intervento del decreto legge 11/2009 (9), l'art. 576 Cod. pen., in tema di circostanze aggravanti dell'omicidio, al n° 5 sanciva la pena dell'ergastolo qualora l'omicidio fosse perpetrato "nell'atto di commettere taluno dei delitti preveduti dagli artt. 519, 520 e 521" (delitti di violenza carnale). La problematica interpretativa che si era posta, era se la riformulazione dei delitti di violenza sessuale – ora previsti agli artt. 609 bis ss. Cod. pen. – avesse implicitamente abrogato l'aggravante in parola.

La tesi maggiormente ricorrente in dottrina – ed in ispecie nella manualistica (10) – era nel senso per cui il richiamo operato dall'art. 576, n° 5 agli artt. 519, 520 e 521 Cod. pen., era da considerarsi un richiamo mobile, con la conseguenza di poter continuare a configurare l'aggravante dell'omicidio connessa ai reati di violenza sessuale (con la sola esclusione della violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies, fattispecie introdotta ex novo dalla legge 66/1996).
La stessa conclusione, a me pare di poter riproporre con riferimento al tema qui in discussione: il richiamo operato dall'art. 25 ter al reato di falso in prospetto, deve essere coordinato con le modifiche legislative intervenute nel 2005, avendo riguardo alla sola problematica della successione di leggi ex art. 3, co. 2 Decreto (per cui bisognerà applicare la disciplina più favorevole al tempo della commissione del reato di falso in prospetto).

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(1) Stiamo parlando delle modifiche apportate dalle leggi 94/2009 e 99/2009.
(2) Introdotto dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61.
(3) Rimando, per i citati approfondimenti, allo scritto di ARENA, Il falso in prospetto, in http://www.reatisocietari.it/new/.
(4) ARENA, Il falso in prospetto, cit.
(5) Cass., SS UU, sentenza 26 febbraio 2009, n. 24468.
(6) ARENA, op. cit.
(7) Secondo ARENA, op. cit., si deve ritenere che "il delitto in questione a decorrere dall'entrata in vigore della legge 262 non è più imputabile all'ente collettivo. Con la rilevante conseguenza che eventuali procedimenti instaurati, ai sensi del d.lg. 231 a carico di società per il falso in prospetto, per fatti commessi tra il 16 aprile 2002 e il 12 gennaio 2006, devono concludersi con sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 3 comma 1 del d.lg. 231".
(8) L'orientamento è sostenuto, tra gli altri da ARENA, op. cit. e da ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell'economia. Reati societari e reati in materia di mercato finanziario, pp. 380 ss.
(9) Il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38), all'art. 1 ha così sostituito il n° 5 dell'art. 576 Cod. pen.: "in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 609 bis, 609 quater e 609 octies".
(10) Vedi COCCO-AMBROSETTI (a cura di), I reati contro le persone, p. 23.

* Fondatore e direttore della Rivista sul Penale dell'Economia.

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