Caso Antonveneta, il testo della sentenza in grado di appello

E' stata pubblicata la sentenza della Corte d'Appello di Milano, n. 227/2012, del 28 maggio 2012 (dep. 11 giugno 2012), Presidente estensore Cerqua, relativa al procedimento noto come "scalata alla Banca Antonveneta" che vede imputate, tra gli altri, le società Unipol spa e Nuova Parva spa per i reati di cui al d.lgs 231/01, art. 25 sexies, co. 1 e 2 (abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato) e art. 25 ter, co. 1 lett. s) e co. 2 (ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza), "per non avere - prima della commissione dei fatti ascritti ... - adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, con ciò traendo dalla condotta delittuosa dell'apicale (il quale non ha agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi) un profitto di rilevante entità" e condannate in primo grado rispettivamente a:
  • sanzione pecuniaria di 900.000 euro e confisca della somma di euro 39.600.000 nei confronti di Unipol;
  • sanzione pecuniaria di 360.000 euro nei confronti di Nuova Parva.

Il Tribunale affronta, tra gli altri, il tema della mancata adozione dei modelli di organizzazione, quale fonte di responsabilità dell'ente, e della nozione di profitto da reato conseguito dall'ente:
  • «In questa situazione, pacifico essendo che la società non possedeva modelli di organizzazione, tale situazione è secondo l'art. 6 D. Lg. 231/01 fonte di responsabilità dell'ente, atteso che anche la più recente giurisprudenza ha affermato che la C.d. "colpa di organizzazione" dell'ente consiste proprio nel "non avere predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato": così Cass. pen. sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735, mass. 247666. Nello stesso senso si pone Cass. pen. sez. VI, 9 luglio 2009, n. 36083, la cui massima (n. 244256) recita che "in tema di responsabilità da reato degli enti, la persona giuridica che abbia omesso di adottare ed attuare il modello organizzativo e gestionale non risponde del reato presupposto commesso da un suo esponente in posizione apicale soltanto nell'ipotesi in cui lo stesso abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi".»
  • «Ritiene la Corte che oggetto della confisca debba essere il profitto netto, e cioè, secondo l'insegnamento della Suprema Corte (Cass. peno S.U. 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia ltalimpianti s.p.a. ed altre), il vantaggio economico effettivamente ottenuto, quale conseguenza immediata e diretta dell'attività svolta dall'ente: una diversa soluzione potrebbe infatti condurre all'applicazione di una sanzione eccessiva rispetto allo scopo e sproporzionata alla gravità del fatto, tale da non trovare giustificazione nelle fmalità compensative dell'istituto. Si è osservato al riguardo in dottrina che un'estensione che voglia portare la nozione generale di profitto ad un superamento della nozione di residuo, ovvero di risultato netto, avrebbe bisogno di un' espressa modifica legislativa, che neppure il legislatore del decreto n. 231 del 200 l ha introdotto né sembra aver pensato. Si consideri che la sanzione della confisca finirebbe altrimenti per essere del tutto estranea alla gravità del fatto, al grado della responsabilità dell' ente e alle sue condizioni economiche e patrimoniali, con una deviazione dai criteri dettati dall'art. 11 per la determinazione della sanzione pecuniaria che non sembra possa trovare alcuna giustificazione. E una sanzione, così intesa, si porrebbe in contrasto, come si è accennato, con i principi di legalità e di proporzione, che riguardano tutte le sanzioni, di qualsiasi tipo esse siano, comprese quelle destinate alle persone giuridiche e agli enti in genere.»
La sentenza può essere scaricato dal sito Diritto Penale Contemporaneo.

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