Commento di prima lettura della Legge Regione Abruzzo n. 15/2011

Legge Regione Abruzzo 27 maggio 2011 n. 15, recante “Adozione dei modelli di organizzazione e di gestione ai sensi dell’articolo 6 del Decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300)” (B.U.R. n. 35 dell’8 giugno 2011; in vigore dal 9 giugno).

Art. 1. Principi e finalità
1. La Regione Abruzzo riconosce e ravvisa la fondamentale importanza dei principi di legalità, trasparenza, eticità, lealtà e correttezza nell’affidamento, esercizio ed espletamento dei servizi di pubblica utilità e della normativa in materia di sicurezza del lavoro.
2. La Regione Abruzzo, nel rispetto dei principi di cui al comma 1 ed in conformità alle disposizioni di cui al Decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300), con la presente legge disciplina gli adempimenti cui sono tenuti i soggetti di cui all’articolo 2, sottoposti alle responsabilità e alle sanzioni derivanti dal D.Lgs n. 231/01, al fine di realizzare i presupposti per l’esenzione della responsabilità amministrativa per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
Il comma 2 appare completamente “fuori contesto” rispetto a quanto affermato al comma 1 e alla stessa finalità dell’intervento normativo. L’adozione obbligatoria del Modello organizzativo viene sancita dalla Regione per promuovere i principi di trasparenza e legalità nei lavori pubblici. Non rientra – né può rientrare - in alcun modo nelle competenze regionali il riempire di contenuto il concetto di “esimente” ex d.lg. 231. Tutto ciò che attiene alla pretesa punitiva dello Stato – ivi comprese le cause di giustificazione per le persone fisiche e l’esimente per la persona giuridica – deve essere disciplinato dalla legge statale.

Art. 2 Soggetti
1. Le disposizioni della presente legge si applicano agli enti dipendenti e strumentali della Regione, con o senza personalità giuridica, ai consorzi, alle agenzie ed alle aziende regionali, nonché alle società controllate e partecipate dalla Regione ad esclusione degli enti pubblici non economici, nel rispetto dell’autonomia statutaria di cui alla disciplina civilistica in materia.
Rispetto alla Legge Regione Calabria n. 15/2008 la platea dei destinatari è molto più ampia: in quel caso si faceva riferimento alle sole “imprese convenzionate con la Regione”.
Qui si fa riferimento anche agli enti dipendenti dalla Regione [1] o ad essa strumentali; ai consorzi [2]; alle agenzie ed alle aziende regionali; alle società controllate o partecipate dalla Regione.

Art. 3 Adozione dei modelli di organizzazione, di gestione e controllo
1. Entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti di cui all’articolo 2 adottano modelli di organizzazione, di gestione e controllo di cui agli articoli 6 e 7 del D.Lgs n. 231/01, che prevedono, in relazione alla natura dei servizi e delle attività svolte ed alla dimensione dell’organizzazione, misure idonee a garantire lo svolgimento della propria attività nel rispetto della legalità, della eticità e della trasparenza, nonchè a scoprire ed eliminare preventivamente e tempestivamente eventuali situazioni a rischio.

Il Modello deve essere adottato - entro il 9 dicembre 2011 – dai soggetti indicati nell’art 2. Tale formulazione risulta sensibilmente differente rispetto a quella originariamente prevista, la quale andava letta insieme all’art 5. Si intende dire che era prevista una specifica sanzione in relazione all’omessa adozione del Modello solo in alcuni casi (esclusione dalle gare di importo superiore ad 1 milione di euro) e per talune imprese (mancata convenzione o rinnovo della convenzione per le imprese in questo modo legate alla Regione).
Nella versione definitiva l’obbligo è generale, riguardando tutti i soggetti di cui all’art 2. Il Modello, si aggiunge, deve prevedere “misure idonee a scoprire ed eliminare preventivamente e tempestivamente situazioni a rischio”. La disposizione è solo in apparenza identica all’art 7 d.lg. 231: anche in quella disposizione si stabilisce che “il modello deve prevedere misure idonee a scoprire ed eliminare preventivamente e tempestivamente situazioni a rischio”. La differenza, essenziale, risiede nella circostanza che l’art 7 si inserisce nella regola generale dell’adozione facoltativa del Modello: insomma, il decreto 231 ci dice che, se si adotta un Modello, esso deve scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni a rischio.
Nella legge in esame, invece, l’adozione è obbligatoria: la società destinataria deve adottare un Modello e tale Modello deve scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni a rischio.
Ad avviso di chi scrive – e richiamando il noto contributo di Gargani (Imputazione del reato agli enti collettivi e responsabilità penale dell'intraneo: due piani irrelati?, in Diritto penale e processo, 2002, 1061) - sulla base del combinato disposto degli artt 6 e 7 d.lg. 231 e della disposizione in commento, potrebbe addirittura enuclearsi il fondamento di una vera e propria (macro-)posizione di garanzia a carico dell’ente e, a cascata, per quel che qui interessa, dei membri dell’Organismo di vigilanza.

Art. 4 Comunicazioni
1. I soggetti di cui all’articolo 2 inoltrano tempestivamente formale comunicazione ai competenti uffici della Regione Abruzzo sull’adeguamento alle prescrizioni del D.Lgs n. 231/01 ai sensi dell’articolo 3 della presente legge, inviando copia della delibera di adozione del modello di organizzazione, di gestione e controllo, nonché copia dello stesso modello.
2. L’organo di vigilanza dei soggetti di cui all’articolo 2 inoltra annualmente ai competenti uffici della Regione Abruzzo la relazione annuale sulle attività svolte.

Da un lato le lacune della menzionata legge calabrese vengono superate: occorre non solo comunicare l’avvenuta adozione del Modello nei termini previsti, ma, altresì, inviarne copia corredata dalla delibera di adozione.
Nulla si dice sull’eventuale controllo nel merito: il rischio è, ancora una volta, che si riduca la “compliance 231” ad un mero adempimento formale.
Certamente il controllo nel merito è di difficile realizzazione.
Si pensi tuttavia al testo originario del disegno di legge che ha poi portato alla promulgazione della legge della Repubblica di San Marino n. 6/2010, il quale prevedeva il deposito del Modello organizzativo presso l’Ufficio di Controllo e Vigilanza delle attività economiche che ne avrebbe curato il controllo preventivo di legittimità e di merito al fine di valutarne l’idoneità.
Tale disposizione non è poi stata trasfusa nella legge oggi in vigore, ma la direzione che prefigurava appare maggiormente condivisibile, se rapportata al mero invio formale del documento.
Il comma 2 si inserisce in quel filone di disposizioni che sembrano far “evolvere” l’ODV in organo a rilevanza esterna. Si pensi alla normativa antiriciclaggio (art 52 d.lg. 231/2007); alla normativa sulla quotazione nel segmento STAR; al c.d. Codice antimafia Italcementi; alla normativa lombarda per gli enti di formazione. In queste ipotesi l’ODV deve relazionare all’esterno (STAR, normativa lombarda); ovvero addirittura segnalare all’esterno, in favore di Autorità pubbliche, eventuali illeciti di cui dovesse avere notizia (Legge Antiriciclaggio, Codice Italcementi).
Nel caso che ci occupa trattasi di relazione a consuntivo. Non è ben chiaro se sia richiesta l’allegazione dei verbali delle riunioni dell’ODV e i report degli audit effettuati: insomma andrà inviata ai (non meglio specificati) uffici regionali una sintetica relazione ad hoc oppure la medesima relazione – dettagliata - predisposta per il Consiglio di amministrazione?
Non v’è dubbio che soltanto la seconda potrebbe dimostrare – comunque entro certi limiti – l’effettività e la serietà della compliance 231.

E’ stato infine eliminato il disposto di cui all’art 5 del progetto di legge che recitava:
Art. 5 Requisiti per la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti
1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, nè possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdettivi di cui all'articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con la legge 4 agosto 2006, n. 248.
2. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi di valore superiore ad un milione di euro, nè possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che non hanno adottato i modelli di organizzazione, di gestione e controllo di cui agli articoli 6 e 7 del D.Lgs n. 231/01.
3. I soggetti che operano in regime di convenzione con la Regione Abruzzo sono tenuti ad adeguare, entro il termine di sei mesi dalla entrata in vigore della presente legge, i propri modelli organizzativi alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dandone opportuna comunicazione ai competenti uffici regionali. L'attuazione dei dispositivi contrattuali che regolano l'esercizio di nuove attività convenzionate, ovvero il rinnovo di convenzioni in scadenza, è subordinata al rispetto delle previsioni di cui al presente comma.
Il comma 1 riproduceva quanto sancito dall’art 38 del Codice dei lavori pubblici; il comma 3 ricalcava quanto previsto nella citata legge calabrese (sanzione contrattuale per l’omessa adozione del modello).
Interessante era la causa di esclusione dalle procedure di affidamento di importo superiore ad 1 milione di euro connessa alla mancata adozione di un Modello 231.
Tale previsione non appariva comunque in linea con il disposto dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, che pone un “numero chiuso” di cause espulsive, tra le quali non figura, per l’appunto, la mancata adozione dei Modelli.
Vero che in tal modo non sarebbe stata la lex specialis della gara (bando o lettera di invito) ad introdurre ex novo un motivo interdittivo, ma una legge (regionale); purtuttavia, la possibilità per una legge regionale di introdurre una disciplina diversa da quella nazionale pare decisamente preclusa dal riparto di competenze al riguardo previsto dall’art. 4 dello stesso codice, per le materie qui di rilievo di “selezione dei concorrenti”, “procedure di affidamento”, “subappalto”, “stipulazione ed esecuzione dei contratti”.
Per di più, il ricordato carattere tassativo delle cause di esclusione (ribadito nel recente c.d. D.L. Sviluppo) costituirebbe anche quella “norma di principio” destinata a delimitare financo la potestà legislativa delle regioni a statuto speciale (tale non è ovviamente l’Abruzzo: v. la recentissima Corte Cost. 10 giugno 2011, n. 184, che ha censurato una norma della legislazione regionale sarda, per lo stesso motivo, in tema di offerte anomale).
In ogni caso appare decisamente velleitaria una legge che pone un obbligo sfornito di sanzione: è chiaro che la mancata adozione del Modello, proprio in vista della finalità dell’intervento normativo ex art 1, dovrebbe produrre conseguenze sfavorevoli a carico degli enti destinatari inadempienti.
(Aldo Areddu - Maurizio Arena)

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[1] Cass, I Sezione civ., 18 ottobre 2006, n. 22346 secondo cui l’ente è dipendente dalla Regione allorchè si ravvisi “l’esistenza di un potere di vera e propria ingerenza tale da incidere sul processo formativo della volontà dell'organismo dipendente e nella finalità di cura dell'interesse pubblico perseguito, che esiti nell'esercizio di poteri di informazione, di ispezione, di posizione di indirizzi gestionali, di preposizione e rimozione di tutti gli amministratori o di parte di essi; e cioè, nell'esercizio di poteri che solo in senso lato possono essere ricomprasi nella nozione di controllo sulla sufficienza e sulla qualità dell'azione dell'ente vigilato. Quindi, per considerare un ente dipendente dalla regione, non è sufficiente evidenziare, in capo all'ente sovraordinato, l'attribuzione di una generica potestà di indirizzo politico-amministrativo stabilito dalla regione ed esercitato sull'ente sia tramite la vigilanza e tutela, sia tramite i poteri sugli organi, ma è indispensabile che dal contesto normativo risulti la titolarità di un penetrante potere di ingerenza che ponga l'ente territoriale in condizione di dirigere l'ente dipendente, di assicurarsi che questo agisca in conformità alle specifiche prescrizioni impartite, sia in via generale che per ogni singolo atto, di incidere sul processo formativo della sua volontà.
L'ente dipendente, in siffatta condizione, si configura come mero strumento della volontà direttiva dell'ente sovraordinato, titolare della funzione amministrativa affidata alla cura della struttura subordinata, nei cui riguardi si determina un vero e proprio obbligo di adempiere i compiti fissatile (Cass. nn. 6920/1997, 391/1994, 4260/1986). In particolare, sono stati qualificati dipendenti dal comune, dalla provincia o dalla regione, gli enti strumentali, pur se dotati di autonomia amministrativa, patrimoniale e contabile, ove siano preposti a compiti inclusi in quelli istituzionali degli enti sopraordinati e siano di conseguenza soggetti all'ingerenza e alle scelte di questi ultimi anche con riguardo alla loro costituzione e persistenza in vita (Cass. n. 7886/1994, Cass. n. 4646/1993 e Cass. n. 1808/1990).
[2] Con particolare riguardo al rapporto regione - consorzi, si è sottolineato che non hanno rilevanza, per individuare un rapporto di dipendenza, né la circostanza dell'avvenuto trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative statali rispetto ai consorzi, né il potere regionale di approvazione del bilanci preventivi e consuntivi, né l'esistenza di finanziamenti da parte della regione, né, infine, il potere regionale di nomina dei componenti del consiglio di amministrazione, nel caso in cui non vi abbia provveduto lo stesso consorzio: invero, perché si possa parlare di rapporto di dipendenza è necessario anche qui individuare un potere di ingerenza, in forza dal quale la regione sia in condizione di dirigere il consorzio imponendogli di agire in conformità di prescrizioni impartite, siano esse d'ordine generale che specifico (Cass. nn. 6920/1997, 8303/1996, 391/1994, 12537/1991, 4260/1986).

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