Sanzioni interdittive e specifica attività dell'ente

La Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale (Presidente G. Lattanzi, Relatore G. Fidelbo) con sentenza n. 20560 del 25 gennaio 2010 (depositata il 31 maggio 2010), con riguardo alla responsabilità da reato degli enti ex D.lgs 231/01, ha affermato che il giudice, quando dispone una misura cautelare interdittiva o procede alla nomina del commissario giudiziale, deve limitare, ove possibile, l'efficacia del provvedimento alla specifica attività della persona giuridica alla quale si riferisce l'illecito. La Corte ha altresì chiarito che tale principio rimane valido anche nel caso in cui l'ente svolga una sola attività, ma la misura possa essere limitata ad una parte della stessa.

«[...] Infatti, nella ordinanza con cui sostituisce la misura cautelare interdittiva, ai sensi dell'art. 45 comma 3 d.lgs. cit. (231/01, ndr), il giudice è tenuto ad indicare ex art. 15 comma 2 cit. i compiti e i poteri del commissario.
Si tratta di indicazioni funzionali per la corretta gestione dell'ente nella delicata fase cautelare, ma che acquistano un rilievo particolare anche in relazione alla valutazione di adeguatezza della misura sostitutiva in questione, in quanto è imposto al giudice di "tenere conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l'illecito".
In altri termini la "specifica attività" richiama i criteri posti dall'art. 14 d.lgs. 231/2001 in materia di scelta delle sanzioni. Il riferimento è al parametro della c.d. frazionabilità delle sanzioni interdittive, parametro che impone che tale tipologia sanzionatoria non operi in modo "generalizzato e indiscriminato", ma si adatti, ove possibile, alla specifica attività dell'ente che è stata causa dell'illecito. Dinanzi alla forte invasività delle sanzioni interdittive nella vita dell'ente il legislatore ha voluto che il giudice tenga conto della realtà organizzativa dell'ente sia per "neutralizzare il luogo nel quale si è originato l'illecito", sia per applicare la sanzione valorizzandone l'adeguatezza e la proporzionalità, nel rispetto del criterio dell'extrema ratio.
Questi stessi criteri trovano spazio anche nella fase cautelare, le cui misure provvisorie replicano pedissequamente le sanzioni interdittive definitive. Ne consegue che anche il giudice della cautela è tenuto a valutare l'incidenza della misura sulla specifica attività alla quale si riferisce l'illecito dell'ente, applicando i criteri di cui all'art. 14 citato e, quindi, limitando, ove possibile, la misura solo ad alcuni settori dell'attività dell'ente.
[...]
Invero, la valutazione sulla frazionabilità della misura non è condizionata dalla differenziazione dell'attività dell'impresa, come sembra ritenere il Tribunale, in quanto anche ad un ente che svolge un'unica attività può essere applicata una misura limitata solo ad una parte dell'attività stessa.»
Scarica il testo della sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, n. 20560 del 25 gennaio 2010.

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