D.Lgs. 81/08, obblighi non delegabili nelle imprese di grandi dimensioni

di Stefano Antiga*.

La Suprema Corte di Cassazione – nella sentenza del 28 gennaio 2009, n. 4123 – si sofferma sul tema della delega delle funzioni nelle imprese di grandi dimensioni.

Si tratta di una delle prime decisioni di legittimità aventi ad oggetto la nuova disciplina in materia di infortuni sul lavoro, introdotta con il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

Il caso preso in esame dai giudici di Piazza Cavour, riguarda un incendio scoppiato nel famigerato stabilimento torinese della Thyssenkrupp nel marzo 2002 (quindi ben prima dei noti tragici episodi ivi accaduti nella notte fra il 5 ed il 6 dicembre 2007). Per questo accadimento, l'ingegnere G. V. – titolare delle deleghe in materia di sicurezza e igiene sul lavoro – veniva condannato nei gradi di merito per il delitto di incendio colposo, ex art. 449 C.p., "per avere omesso di individuare le misure di prevenzione e protezione da adottare contro il rischio incendio" e per "non avere segnalato la necessità di interventi costosi per fronteggiare l'imminente rischio di incendio".

L'imputato si difendeva – tra le altre cose – denunciando l'erroneità delle sentenze di merito, nella parte in cui avevano escluso "la validità delle deleghe conferite dal V. in materia di sicurezza, pur non contestando la veridicità delle stesse e l'idoneità tecnica dei soggetti delegati, ma solo la non trasferibilità a terzi di doveri e poteri in tema di sicurezza".

La Cassazione si sofferma, dunque, sulla problematica della delega delle funzioni, delineando il quadro della stessa giurisprudenza di legittimità sul punto.

La Corte riconosce, prima facie, che nelle imprese di grandi dimensioni “si pone la delicata questione, attinente all'individuazione del soggetto che assume su di sé, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede, logicamente e giuridicamente, quella della (eventuale) delega di funzioni”. Soffermandosi, poi, sulla complessità organizzativa che caratterizza le imprese di vaste proporzioni, i giudici di legittimità asseriscono che in siffatte aziende “non è possibile attribuire tout court all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare l'apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all'interno di questo, al responsabile di settore”. Ragionando in maniera diversa, continua la Corte, “si finirebbe con l'addebitare una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri”.

Ma il vero nodo interpretativo, come la Suprema Corte ricorda, è quello relativo alla “individuazione delle condizioni di legittimità della delega”. E ciò “per evitare una facile elusione dell'obbligo di garanzia gravante sul datore di lavoro”, nonché per eludere il rischio “di trasformare tale obbligo in una sorta di responsabilità oggettiva, correlata tout court alla posizione soggettiva di datore di lavoro”.

In primis, la Corte di legittimità ribadisce il consolidato principio per cui “il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica”. La posizione di garanzia che grava sul datore di lavoro – e che assume rilievo penale per il tramite dell'art. 40 cpv. C.p. – va individuata nel disposto di cui all'art. 2087 C.c., a mente del quale “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Per questo motivo, il datore di lavoro deve essere considerato il “«garante» dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore”, con la conseguenza che laddove egli venga meno a questi suoi obblighi di tutela, “l'evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo» (articolo 40, comma 2, c.p.)”.

Con specifico riferimento al tema della delega delle funzioni, la Corte riafferma la già consolidatissima opzione ermeneutica per cui “la delega non può essere illimitata quanto all'oggetto delle attività trasferibili”. A questa stregua, “non potrebbe andare esente da responsabilità il datore di lavoro allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza”.

Rilevante, sotto questo profilo, è quanto statuisce l'art. 17 del d.lgs. 81/2008, intitolato “obblighi del datore di lavoro non delegabili”. Ivi si prevede:
“Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività:
a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'art. 28;
b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.
Secondo la Cassazione, "la sentenza impugnata è in linea con i principi sopra tratteggiati, tenuto conto che il profilo di colpa contestato all'imputato e ritenuto dai giudici di merito era stato ravvisato, in sostanza, nella mancata analisi del rischio incendio e nella violazione degli obblighi di individuare le misure di protezione, di definire il programma per migliorare i livelli di sicurezza, di fornire gli impianti ed i dispositivi di protezione individuali, tutti aspetti che riguardano le complessive scelte aziendali inerenti alla sicurezza delle lavorazioni e che, quindi, coinvolge appieno la sfera di responsabilità del datore di lavoro".

Commenti

Post più popolari