Formazione e D.Lgs. 231/01

di Giovanni Battisti.

Iniziamo con il dire che il Decreto Legislativo 231/01 non identifica, in modo esplicito, la formazione quale componente essenziale di un Modello di organizzazione, gestione e controllo. Secondo il testo del Decreto, infatti, l’ente può beneficiare dell’esonero se riesce a dimostrare che (art. 6):
  • ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
  • è stato istituito un organismo, interno all’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, con il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di e di curare il loro aggiornamento;
  • le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
  • non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'Organismo di Vigilanza.

I Modelli, precisa poi il D.Lgs. 231/01, devono:
  • individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
  • prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
  • individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
  • prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo di Vigilanza;
  • introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato.
Il decreto quindi non istituisce direttamente, in capo all’ente, un obbligo di formazione verso i dipendenti e i dirigenti.
La formazione è invece indicata da Confindustria [1], come uno dei componenti (o protocolli) indispensabili per garantire l’efficace attuazione del Modello ed il suo buon funzionamento.
Le linee guida di Confindustria distinguono in proposito tra comunicazione al personale e formazione:
  • Con riferimento alla comunicazione al personale, Confindustria ne identifica l’oggetto “essa deve riguardare ovviamente il codice etico ma anche gli altri strumenti quali i poteri autorizzativi, le linee di dipendenza gerarchica, le procedure, i flussi di informazione e tutto quanto contribuisca a dare trasparenza nell’operare quotidiano” e le caratteristiche, precisando che “la comunicazione deve essere: capillare, efficace, autorevole (cioè emessa da un livello adeguato), chiara e dettagliata, periodicamente ripetuta”.
  • Con riferimento alla formazione, si richiede che sia “sviluppato un adeguato programma di formazione rivolto al personale delle aree a rischio, appropriatamente tarato in funzione dei livelli dei destinatari, che illustri le ragioni di opportunità, oltre che giuridiche, che ispirano le regole e la loro portata concreta”.
Sul tema della formazione è intervenuto poi il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, giudice Secchi, con l’ordinanza 20 settembre 2004 - 9 novembre 2004.
Il GIP ha ribadito che il compito della formazione (quale specifico protocollo costituente il Modello) “è quello di assicurare una adeguata conoscenza, comprensione ed applicazione del modello da parte dei dipendenti e dei dirigenti”. A tal fine, la formazione deve essere differenziata “a seconda che la stessa si rivolga ai dipendenti nella loro generalità, ai dipendenti che operino in specifiche aree di rischio, all’organo di vigilanza ed ai preposti al controllo interno”; il Modello deve inoltre prevedere “il contenuto dei corsi, la loro frequenza, l’obbligatorietà della partecipazione ai programmi di formazione” e opportuni “controlli di frequenza e di qualità sul contenuto dei programmi di formazione”.

Nei prossimi post cercheremo di definire una possibile "scaletta" per un programma di formazione in attuazione del D.Lgs. 231/01.

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[1] Confindustria, Area Strategica Fisco e Diritto d’Impresa, Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. 231/2001, approvate il 7 marzo 2002, aggiornate al 24 maggio 2004, pagina 13.

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